Dibattito sulla crisi: De Stefanis “dalla parte delle democrazia”

Iniziamo con questo articolo del nostro redattore Giovanni De Stefanis un “Dibattito sulla crisi” in cui ameremmo ospitare opinioni e punti di vista anche esterni alla redazione sulla crisi di sistema e di rappresentanza che connota la politica in questa fase storica.
Chiediamo a chi interviene possibilmente di affrontare il tema da un punto di vista “teorico” più che contingente proprio per la funzione di “laboratorio” che stiamo cercando di dare alla nostra presenza.

DALLA PARTE DELLA DEMOCRAZIA.

Al di là del ‘ magic moment ‘ che la nostra Costituzione – oggetto di veri e propri tentativi di manipolazione, spacciati per urgenti e indifferibili riforme – sta vivendo nella coscienza collettiva più accorta del Paese, c’è da rilevare che la mobilitazione in sua difesa può avere successo solo se l’ opinione pubblica si regolerà come… tutte le squadre che si prefiggono di vincere le partite e, non soltanto, di non perderle : adottando, cioè, una efficace strategia di attacco dopo aver individuato i punti deboli dell’ avversario.
Premesso che l’ avversario da battere, per una democrazia, è il rischio di una sua deriva oligarchica, dobbiamo chiederci se questa degenerazione – in atto un po’ in tutto il mondo e sotto gli occhi di tutti coloro che mantengono un minimo di attenzione e di curiosità per la politica – è il frutto inevitabile della definitiva vittoria del mercato, nella sua cinica versione ‘ globalizzatrice ‘, oppure è la spia del suo sostanziale fallimento, una sorta di colpo di coda da animale ferito.
Questa breve riflessione non ha l’ ambizione di dare una risposta a questo interrogativo. Certo è che appare davvero inspiegabile – sulla base di quelle che pensavamo essere le reazioni ‘ canoniche ‘ in congiunture di questa gravità – che una crisi planetaria del sistema capitalistico, come quella che stiamo vivendo da oltre 5 anni, non abbia determinato – per esempio – un’ affermazione ( elettorale e non solo ) dei vari schieramenti progressisti che di un modello di sviluppo alternativo a quello capitalistico fanno, o…dovrebbero fare, la loro bandiera.
Questa assenza di reazione, da parte dell’ opinione pubblica, può spiegarsi – certo – come un graduale processo di imborghesimento delle coscienze ma, anche, come semplice pigrizia intellettuale, come rinuncia a qualsiasi approfondimento e come comoda e incondizionata resa a quella che si è rivelata essere – almeno in casa nostra – la lettura più accreditata della crisi. E, cioè, l’ assoluta mancanza di spirito di servizio da parte delle classi dirigenti – nei partiti come nelle istituzioni – degenerate tutte in caste ( inevitabilmente oligarchiche ) di privilegiati, per di più corrotti.
Ecco, se riuscissimo a convogliare tutto il livore – legittimo, per carità – che i cittadini nutrono nei confronti della politica e dei suoi principali attori, in direzione dei disvalori che il ‘ pensiero unico liberista ha ormai introdotto nella nostra cultura e nei nostri comportamenti, io credo che tutto il fronte progressista ne trarrebbe un grande vantaggio perchè sarebbe costretto ad accantonare il vecchio e ormai insopportabile stile propagandistico di fare politica per inaugurare una stagione di nuove forme di partecipazione democratica, più laiche e meno ideologiche, via maestra per un recupero di valori etici, culturali e sociali.
Senza dei quali valori – anche con la classe politica più irreprensibile e meno autoreferenziale di questo mondo – sono personalmente convinto che avremmo enormi e, forse, insormontabili difficoltà a realizzare quel formidabile secondo comma dell’ art.3 della Costituzione che attribuisce alla ‘ Repubblica ‘, cioè a tutti noi, “ il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’ eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’ effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’ organizzazione politica, economica e sociale del Paese “.
“ Dobbiamo crescere “ – scrive Gustavo Zagrebelsky – “ diffondendo consapevolezza e cultura politica, fino a costituire una massa critica di cui non sia possibile non tenere conto, da parte di chi cerca il consenso e chiede il nostro voto per entrare nelle istituzioni. Per questo dobbiamo riuscire a spiegare ai molti che la questione democratica è fondamentale; che non possiamo rassegnarci “.

Giovanni De Stefanis